Il racconto di Marco Simi è pubblicato sul sito www.thuler.net
Alcune immagini sono scattate dai miei figli....Gli alberi dei boschi
sono come gli uomini sulla terra :
non ce
n’è uno che sia uguale ad un altro.
E’ stata
una delle mie prime scoperte, quando giocavo a nascondermi
e a
costruire capanni nelle faggete attorno alla cà.
Dev’essere
per questo che rifuggo le cose tutte
uguali, fatte con lo stampino.
Sul pavimento di casa mia giacciono, sistemati
uno per uno da un esperto e massiccio posatore bergamasco,
centinaia di
“madoni”, ovvero i vecchi mattoni da quindici per
quaranta che fino a
quarant’anni fa
si appoggiavano sui travetti per fare il pavimento delle camere
al primo piano.
Son tutti diversi.
La cottura della fornace ha fissato per sempre una determinata
sfumatura di
colore, un gioco di impasto unico ed irripetibile.
Se penso alle piastrelle
colorate tutte uguali uguali, mi vengono i brividi.
Piuttosto lascerei la terra
battuta.
Anche le vecchie travi di legno, oltre a quei mattoni, hanno questo
dono della casualità dei nodi,
delle venature, dei percorsi paralleli delle
fibre. Un pavimento di legno vecchio è una meraviglia,
perché si presenta al
mondo offrendo lo spettacolo dell’accostamento regolare della
diversità.
Mi è sempre piaciuta l’idea di possedere un bosco.
Un bosco? Ma perché?
Così mi
chiedevano gli amici, che invece sognavano di farsi una villetta a
schiera al
mare o in montagna.
Sulle prime non sapevo bene cosa rispondere,
perché avere
un bosco è sempre stato uno dei miei desideri fin da
piccolo.
Era una delle cose
che – allora – mi proponevo quando avevo
vent’anni e
ancora mezzo addormentato
camminavo la mattina presto sul cavalcavia di Novate per raggiungere
l’officina.
Poi mi son chiarito il perché. Il bosco è la
perfetta metafora della vita
spirituale di ogni uomo.
In primis: nel bosco c’è silenzio. Non ci sono
rumori
inutili:
tutto quanto si muove e vive ha un significato ed un senso che non va
sprecato.
Il volo di qualche ghiandaia. Il battere del picchio. Lo spezzarsi di
rami secchi sotto il peso della neve.
Il passaggio discreto di un camoscio. Il
tonfo dei ricci dai castagni sul dosso,
che rivelano, semiaperti, il loro
tesoro color di terra lucida.
Ecco perché dico sempre
ai ragazzi di non urlare nel bosco.
Chi accenna jodel
improbabili o sghignazza sguaiato mi procura un grande fastidio
interiore.
Vorrebbero imporre, dominare alzando la voce quello che sentono che
comunque li
sovrasta.
E’ così bello, invece, restare e lavorare nel
silenzio.
Perché
sprecare parole che non servono?
Perché interrompere il silenzio?
C’è una
purezza perduta, nel bosco.
Il bosco è immagine
della Creazione, che attende.
E’ vita che germoglia
silenziosa, ogni cosa al suo tempo.
Settimana dopo settimana vedo le gemme
formarsi nel segreto.
Già a febbraio qualcosa si prepara tra i rami, a fine
marzo il verde esplode all’improvviso.
Un inno, senza parole né musica, alla
vita, alla luce ed al tepore che scendono dall’alto.
Dal
sottobosco, dall’umido strato di foglie decomposte spuntano
polloni, ramaglie,
erbe lucide, primule color giallo intenso, belle anche se il tempo e le
nuvole
regalano ancora acqua a catinelle.
Un
bosco rispetta delle regole fissate dall’eternità,
è ricordo di una antica
armonia
che si è smarrita nella malinconia delle nostre periferie
rugginose,
nelle risse sguaiate sulle prime pagine dei giornali,
nel pianto o nel grido di
chi ha smarrito nel rumore il senso del tempo, ed ha timore del
silenzio.
E poi la sua perfetta casualità.
La distanza tra le singole piante non è mai
calcolata col metro, o con
Eppure
Ogni edera ricade al posto giusto.
Ogni tronco si torce in modo diverso ma complementare.
Ogni balza ha la
quantità adeguata di erbe e fiori. E’ un insieme
di proporzioni che nessuno
potrà mai riprodurre.
Non è questa la prova dell’esistenza di un
Creatore ?
Quando, passando rapido, percorro le superstrade che attraversano le
montagne
brulle
della Sardegna oppure costeggio le vaste estensioni di monocultura
nella
grande pianura,
provo un brivido quando vedo gli alberi dei rimboschimenti.
Ogni pianta è stata inserita in fosse a distanze regolari,
programmate col
computer.
Soldatini messi in parata come per antiche battaglie napoleoniche.
Pioppi radi, nelle golene lungo il fiume, che aspettano composti il
momento di
essere tagliati per diventare carta.
Ecco, in tutti quei posti non riuscivo mai a giocare o a sostare.
Era come
essere dentro ad una scacchiera. Non c’era la minima
digressione al caso.
Proprio come il mio vicino un po’ toccato, che semina nel suo
orto file
regolari di cipolle a distanza esattissima,
misurata col decimetro, il quale
svelle con silenzioso furore la piantina che è spuntata
appena più in là dal
solco.
Un mondo senza boschi è un mondo omologato, appiattito.
Se mi parlano di
villaggio globale qualcosa dentro mi si ribella.
Mi vien voglia di salire in
fretta alla cà per rimirare ed ascoltare castagni e faggi
frusciare al vento.
Come
farei, senza la sorpresa del nuovo ad ogni passo, ad ogni svolta del
sentiero?
Senza quelle sfumature di colore ogni giorno irripetibili, che
sopravvivono
solo nel ricordo?
Questo continuo crescere e mutare, nella diversità,
pur restando lì a dipendere
dalla pioggia e dal sole,
è quello che desidero per me e per la mia gente.
Vivere il proprio sentiero,
diversi ma nella medesima foresta,
ben coscienti
del cielo sopra.
E che sole ed acqua son dono gratuito e silenzioso.
Marco Simi
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