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Prima domenica di novembre, Aida, la moglie di Marco, amico scomparso nel 2004
chiede una mano per dare una controllata e una prima pulizia alle baite che col marito
hanno in proprietà in Val Daone in quanto un amico comune ha segnalato i primi
segni dell'aggressione da parte dell'umidità e della muffa.

Si decide di salire alla "Cà", così la chiamava Marco, il 18 di novembre in compagnia

di due dei suoi figli, un amico comune e mio figlio Francesco.

Per i figli era la prima volta che tornavano in quella valletta nascosta dopo la morte

del papà, per me la prima volta che toccavo e vedevo i luoghi di quello
che io ritengo essere uno dei più bei racconti scritti da Marco.
La Ca' è ambientato proprio in questi luoghi...

Molte le sensazioni e le emozioni di quella giornata semplice ma così intensa.
Credo che meglio delle mie immagini e delle mie parole
le stesse parole di Marco, che seguono,

potranno introdurvi nello stupore e nella bellezza de: LA CA'

Buona lettura.
                                                                                                                                                             Pedalopoco



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La traccia scompare sotto le erbe giallastre e lunghe, sotto le foglie di castagno e i ricci, piccoli,
sfatti dalle pioggie che preannunciano l'inverno. Si sale in costa, non ci sono impronte di scarponi.
Tra i faggi ormai quasi brulli appare la macchia verde dell'agrifoglio,
macchia splendida sotto un cielo sbrindellato e grigio.
Un po' di vento e qualche goccia colpiscono la giacca a vento, lo zaino, la fronte.
Il loro piccolo rumore si amplifica.

L'orecchio è vigile, i pensieri affilati e spogli come il paesaggio.
D'improvviso ecco, al termine della salita, le poche pietre squadrate ed i rovi della prima baita, diroccata.
E' invasa, avvolta come da una piovra dalle mille braccia sottili.
Vicino, ecco qualche castagno. Avranno almeno duecento anni.
Sono il segno dell'uomo, povere ma
rassicuranti sentinelle, promesse di un pane uguale ma sicuro.



Da qui si scende, entrando nella valletta.
Stupore, sempre nuovo per la qualità del silenzio, che fluisce tra i rami,
il rivolo d'acqua della piccola forra, le roccette calcaree,
piccoli gendarmi che contornano in alto, sopra il limite del bosco.

C'è un silenzio di attesa.

Tutto attende una mano
che si metta al lavoro, una presenza umana che renda vita alla vita vegetale e minerale.



Davanti alla ca' per prima cosa si appende lo zaino al chiodone, ben infisso accanto alla porta.
Un primo giro d'intorno, prima di cambiarmi la
maglietta fradicia.
Poi il rito della chiave. E' la chiave più preziosa che posseggo, vecchia di almeno vent'anni,
consegnatami dallo zio con fare
solenne.

Non apre cassaforti, ma una soglia che mi consegna al tempo ed alla bellezza.





Tre, quattro giri. Apro con cautela, vien giù un po' di polvere. Sul pavimento qualche fatta di topo.
Bisogna aprire le imposte della finestrella
con la croce dell'inferriata, che entri un po' di luce.
Una passata di scopa (quella fatta coi rametti di faggio, altro che roba sintetica) e poi via
con la legna.



Il boschetto lungo il torrentello è ricco di faggi.
In mezz'ora è facile raccogliere grossi rami secchi, portarli davanti alla ca',
e col vecchio
cavalletto pareggiare un qualche centinaio di tocchi.
Che finiscono nella piccola legnaia e vicino alla stufa, dentro, e pure nel camino.



Intanto è subito buio.
Il vento leggero sa di neve. Fruscii leggeri, nessuna luce, solo il fuoco comincia a ruggire.
Certo, ho il giornale di oggi,
un paio di libri, qualche cosa da metter su nella pentola annerita.

Ma è il silenzio di fuori e le fiamme di dentro che alimentano il bello che non
basta mai.



E così il silenzio ed il fuoco sono un soglia.
Sì, qui trovo un brandello di quel vero, di quella meraviglia che sempre ti sfugge nell'attimo che la
vivi.
E tutto comincia a ricomporsi, sai che sei, che respiri, che non ti basti.
Ma la chiave seconda, quella che apre l'Altrove, ecco, so che c'è.

Ma arriverà come un dono gratuito, come un sacco di castagne portate da amici insospettati,
come una polenta scodellata con discrezione in
tempo di fame.



Arriverà. Ed allora il sonno che verrà presto, davanti ad un filo di fumo è parte dell'attesa.

Dorme la valletta, dormono gli alberi e le rocce. Il
Vero veglia.

Che possa trovarmi come un bambino, con gli occhi spalancati, senza parole inutili che non servono.

Che io possa esserne
degno.

(Marco Simi)