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Siamo alla frutta!

...strane associazioni di idee...
Un giro in bicicletta prima del tramonto, tra campi e vecchie cascine, lo sguardo si ferma
su una pianta di melograno carica di frutti, due o tre scatti venuti così e così...

Melograno frutto ormai quasi sconosciuto... di "un vicino passato" direbbe il mio amico Marco...
Attenderò con pazienza che maturino per portarne a casa qualcuno da far assaggiare ai figli.



Sorrido e ritornato tra le mura di casa riapro il libro dei racconti di Marco e rileggo
il racconto delle mele annurca, trovo che c'entri con il melograno di questa sera...




Raccontano taluni viaggiatori che al termine di una pantagruelica cena in territorio cinese, come ultima portata ti servono una ciotola di riso bianco: che non devi toccare, dimostrando così che sei veramente sazio. Che proprio non ce la fai più. Qualcosa del genere capita anche dalle nostre parti, quando hai incamerato antipasti traditori in quantità deplorevole, in attesa dei primi, magari accompagnandoli con quel vinello appena passabile che si serve nei pranzi familiar/economici per festeggiare un Battesimo o una felice ricorrenza con tutto il parentado.

Dato che di famiglia siamo di tradizione prolifica (mamma fu l’ultima di sedici figlioli, io il primo di cinque e – a mia volta – padre di tre) le occasioni di far festa a tavola non mancano, anche se bisogna contenersi per star dentro al domestico bilancio. Ma qui nel cremonese non mancano locali e trattorie dignitose in disperse frazioncine lungo il Po, tranquillo rifugio di cuochi di mezza età, approdati da lontano ed ormai divenuti stanziali, dopo un lungo peregrinare tra locali di altri, servizi sulle navi, esperienze - con alti e bassi - di lavoro all’estero.

Dicevo che già dopo gli antipasti non ce la fai quasi più. Poi arriva, trionfale, il tris di primi, su vassoi straboccanti di paste con sughi caserecci, e l’immancabile risotto con asparagi o funghi. Nessuno si chiede mai dove spuntino gli asparagi a novembre o i funghi ad aprile, ma i misteri della refrigerazione non sfiorano la mente dei commensali, dediti ai piaceri semplici della tavola e della chiacchiera su ogni aspetto del globo terracqueo, con molti inserimenti di stretto interesse locale. Si passa con disinvoltura dai discorsi colti sulla “globalissassione” all’artrite del nonno Gino, per poi concentrarsi sulla notizia del matrimonio con procedura d’urgenza – così sussurrano i bene informati – della nipote che sta a Guastalla.

Il pranzo discende verso i secondi, mentre i nipotini lanciano forchette, ruzzano dentro e fuori i bagni e sotto i tavoli. Per fortuna c’è sempre un cortile o un giardinetto con fontana in cemento o qualche acquario, con pesci di fiume che nuotano lenti un po’ rassegnati, da visitare. Tra i tavoli gironzola un gatto sdegnoso che sembra un maialino (topi? Mai visti, viva gli avanzi!) Anche un semplice soriano diventa un evento per scatenare frotte di bambini urlanti.


Ecco che arrivano i vassoi delle carni. Qualcuno si fa prendere dallo sconforto, davanti all’abbondanza, e pilucca una qualche patatina al forno, assaggia l’immancabile coniglio con gli aromi, ma l’assalto ha perso il suo mordente. Come si suol dire, siamo alla frutta.

E così, dopo verdure cotte e crude, scaglie di grana che dispiace lasciar lì per impossibilità tecnica, arrivano i cestini ricolmi. Fanno un bel vedere, con tutti quei gialli-banana, arancio-arancia, rosso-mela. Però i cestini restano intatti. La sola presenza di volume e di colore appaga l’occhio e lo stomaco che non ce la fa più. Siamo davvero alla frutta. Che non mangeremo… Qualche maligno insinua che trattasi sempre della stesse pere e mele da ere geologiche, altri ipotizzano che nel cesto troneggino copie in plastica: le banane, infatti, sembrano attrezzi da scavo, tanto son grosse, le mele tirate a lucido con il sidol…

Ma dove son finite le meline rosa dello zio Giovanni, le mele zucchina che crescono ancora in certi paesini dell’Appennino, da conservarsi nello stanzino al freddo, badando bene di non ammaccarle perché durino tutto l’inverno? Chi ci parlerà mai di quelle perine sarde aspre e dure, buone solo da cuocere per farci la salsa per accompagnare piatti forti a base di maiale e frattaglie? I bambini non lo sanno, molti di loro non hanno neppure visto le mele sull’albero, forse sospettano che tutto nasca come le merendine, fatte con lo stampino…

Introdurre un figlio ai misteri di un vicino passato è cosa importante.
La storia della mela annurca può diventare altamente istruttiva:
raccolta presto, messa nella paglia a maturare, controllata periodicamente,
selezionata, insomma può far capire - per analogia -
che per gustare il bello ed il buono ci vuole
una educazione, un lavoro ed il suo tempo. 

E che non sempre è oro tutto quello che luccica… 

Il profumo e la fragranza del frutto (così come l’animo di molte persone)
si nascondono talvolta sotto una scorza ruvida e magari non bella.

Ma in profondità si scoprono dolcezze inaspettate!


Aggiungo quest'immagine di due anni fa..."dei salami appesi"...
qualcuno mi ha detto un giorno che è l'immagine di me che preferisce...

Credo che c'entri con il finale di questo racconto...  ;-)
...leggo e rileggo e qualcosa non torna... ritornerò su questa pagina... credo
                                                                                                                           Peda

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Per chi non lo sapesse le mele annurca sono queste:

E il racconto di Marco è tratto dal suo libro "La Ca' " edito da Itaca

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                                    01.09.2009
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