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NEBBIA...

...momenti, poi, davanti solo il nulla.
Occorre aver memoria per esser certi che questa è una strada fra due paesi,
e per sapere quanto d’estate qui l’asfalto bolla sotto al sole;
occorre memoria per sapere quanta luce c’è allora e quanto cielo.
Bisogna, in un certo senso, avere fede dentro la grande nebbia,
per non dubitare che il mondo permane, in un giorno di gennaio.
Nebbia come un ermetico strato che sbarra lo sguardo.
Qui attorno certamente ci sono case, e cascine, e uomini dentro stanze illuminate e calde;
ma come in un sortilegio agli occhi nostri tutto è cancellato.
Si va adagio, con l’ansia non detta di vedere un cartello, un’indicazione.
Per chilometri, niente.
Se abbassi il finestrino una lingua umida entra a lambirti (ha un odore la nebbia, sa di polvere, di freddo).
A tratti allenta la morsa. Poi, di nuovo, si gonfia. Da dove sale, così strabordante? Dov’è la fucina?
Nelle rogge, qui attorno, di acqua immobile; nei campi fradici, nelle zolle nere e molli dove i semi stanno chiusi e all’apparenza inerti.
Fiato di freddo e di buio. Ha qualcosa di mortifero la nebbia, mentre la sua presa stringe.
E tuttavia anche lei fa parte di quel lungo lento giro di danza che ogni anno ricalca i suoi passi e conduce la natura alla morte,
o almeno a una morte apparente; irrigidisce, gela, spoglia; ma poi, in un giorno chiaro e freddo di marzo, rinasce.
La cappa che aliena il mondo è come il velo sotto a cui, indicibile, il miracolo si compie.
Occorre aver memoria; occorre, direi quasi, aver fede.

(liberamente tratto da un articolo di Marina Corradi)


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